Uno potrebbe farsi delle domande, dopo sei mesi senza una riga. No, ok. Chicca retro sotto, per analogia.
Agosto nella Città di M.
Era da anni che non mi ritrovavo nel mezzo di agosto a Milano — non so ancora per quanto eh…
Come che sia, intanto si mette alla prova l’affermazione non infrequente per cui Milano d’agosto è meravigliosa, bellissima, a misura d’uomo etc. Be’, ho qualche dubbio. Sì, non c’è il solito casino. Quindi, specie in auto, moto, bici, mezzi propri insomma (anche a piedi!), ci si sposta rapidi come il fulmine (@matteopenzo ha twittato che è come avere il teletrasporto; vicino al vero prendendo come metro i tempi normali). L’aria è più pulita. Sa di aria. Ma ci sono alcune sproporzioni, stranezze, disequilibri che mettono un po’ a disagio. Un disagio sottile, intendiamoci. I problemi veri sono per quelli che stanno da soli, per l’età, per un acciacco, per un handicap, per qualunque disastro della vita pratica. Me la si passi, qui mi tengo su una chiacchiera leggera. Dicevo, paradossalmente, il fatto che non ci sia il solito casino fa sorgere uno strano disagio: una sovrabbondanza di case palazzi strade, persino parcheggi! e pochissime persone in giro — un paesaggio scandinavo, ma con il caldo della pianura padana e la solita vaga sozzura italica.
Poi: sproporzioni tra i tipi umani e professionali. I turisti di solito a Milano non si notano molto tutto sommato, se non in posti precisi, e anche lì magari affogano nel casino. Ad agosto no. Sono passato da corso Como e forse per la prima volta l’ho visto esclusivamente popolato (si fa per dire) da coppiette con trolley, coloriti nordici arrossati dal sole, e giapponesine piegate sulle riviste di moda, fotografia (o sullo scontrino della carta di credito… erano a un passo dal 10). Sui tipi professionali: l’andatura e le facce non tradiscono, i capi sono tutti in vacanza. Qualcuno c’è in ufficio però. Eccoli. E delle cose devono pure restare aperte. La ricicleria dove ho buttato putt***e rimaste lì da tempo immemore era lì a disposizione, con tanto di personale. E come si diceva, ci sono pure tutti gli altri con i problemi veri.
Ah, sul sito del corrierone hanno messo online una mappa con i posti aperti (mappa by Bing si noti; update 9-11-2013: la mappa non è più online…): bene, buona idea, anche se l’esperienza di ricerca e navigazione non è proprio straordinaria… girando per categorie la classificazione è veramente troppo granulare. Meglio se si parte da un indirizzo specifico: i punti di interesse però sono segnalati tutti con un pallino colorato. Certo, i codici colore, ma mica si riconoscono subito, e forse nemmeno alla terza volta… magari sarebbe stato meglio semplificare con poche icone più immediatemente intelligibili. Chissà se e come va dal telefono (ehm, iPhone et similia intendo). Cercherò.
Resta l’impressione di una roba che non gira nella realtà (a prescindere dalla mappa): ieri sono passato dall’Isola più o meno a ora di pranzo e *non uno* dei miei soliti posti (quattro o cinque, ok) era aperto. Sulla mappa il numero dei pallini farebbe pensare il contrario (così come le assicurazioni puntuali dell’amministrazione cittadina, già lette e stralette).
PS: Milano o Città di M., in omaggio alla trilogia scritta a suo tempo da Piero Colaprico (che cita scherzosamente la Città di K.; i conoscitori scuseranno la nota didattica) e soprattutto alla versione teatrale messa poi in scena da Serena Sinigaglia con una straordinaria Arianna Scommegna (la serata nella saletta al Teatro Verdi mi è rimasta stampata in testa; poco teatro per me, va bene, ma fosse sempre così quelle poche volte).
Qui Città di M. promo from A.T.I.R on Vimeo.
Propaga il meme, #cittàdiM.
Letture obbligatorie per il corso di Mobile Industry 2009-2010
Letture obbligatorie, tipo quelle degli esami, vecchissima maniera. Scherzo. In ogni caso, nota di servizio per chi non li avesse ancora passati. In questi giorni ci sono due lunghi post su Nokia che, mi pare, stanno rimbalzando in giro come palline da flipper. Impossibile perderli se si ha un qualche interesse nelle faccende mobile & wireless.
Picture by Jorge Barrios from Wikimedia Commons, Public Domain
In ordine di tempo: il 21 Tomi Ahonen, uno degli esperti più celebri e rispettati dell’intero settore, ex Nokia, finlandese, ha pubblicato uno dei suoi tipici lunghi, lunghissimi post a proposito del CEO dell’azienda (grande confusione sotto il cielo: vedi FT oggi per dire).
Tomi Ahonen: Obituary for OPK: Wall Street is a Cruel Mistress – Nokia searching for CEO
Chi dovesse essere meno addentro la cosa potrebbe apprezzare la breve introduzione di Mobile Industry Review, che lo ha ripostato integralmente.
Il giorno dopo l’inglese The Register ha pubblicato una sorta di lungo e articolato stralcio di intervista con Juhani Risku, ex Nokia, finlandese, autore di un libro su Nokia disponibile per ora solo nell’originale – finlandese.
The Register: Rescuing Nokia? A former exec has a radical plan
Come tutte le letture obbligatorie che si rispettino, non si fanno fuori in 5 minuti eh…
In memoriam: William Mitchell
William Mitchell, architetto, urbanista, professore al MIT, tra i maggiori studiosi delle trasformazioni della vita urbana e delle forme delle città sotto l’influenza delle tecnologie digitali, è mancato a 65 anni (vedi la notizia e il resoconto biografico ufficiale del MIT).
Ho scoperto il suo nome molto tardi, tra 2004 e 2005, come colui che tra le altre cose aveva coniato l’espressione e l’idea dei “Living Labs” — il resto nella versione inglese di questo post.
Mi chiedo se sia mai stato tradotto in italiano — o se ora ci penserà qualcuno.
TV digitale terrestre, spettatori, utenti e persone
Update (17-5-2010): oggi prime time 😉 su Infoservi per una versione un poco rivista di questo post, passata e titolata come si deve.
A giorni anche in Lombardia inizia lo switch-over (RAI2 e Rete4 sul digitale, poi dopo l’estate tutto il resto). Mentre scrivo a Milano si stanno chiudendo i lavori della quinta conferenza nazionale sul digitale terrestre (vedi la copertura stampa); qui si discute dal punto di vista dell’industria (sopra ogni cosa, la concorrenza tra Sky e Mediaset, dove ci sono i soldi veri e la tensione si taglia con il coltello), ma poi ci sono le persone là fuori. La scorsa settimana ho messo i miei 2 cent sulla cosa con un intervento a Trento per il convegno sul digitale terrestre promosso da Provincia Autonoma e Trentino In Rete in collaborazione con Create-Net (con cui ho già collaborato in passato) — un’iniziativa diversa, legata al territorio, ma a cui hanno aderito diversi protagonisti nazionali, tra cui Mediaset, RAI e la stessa DGTVi che ha organizzato la conferenza di Milano.
Dato che a Trento si invitava a ragionare su “sfide e opportunità”, ho proposto di ripartire appunto dalle persone — niente prediche eh: il mio punto è che espressioni come spettatori (audience) e utenti (users) si portano dietro una quantità di assunzioni che esprimono appunto la prospettiva dell’industria e delle tecnologie, molto meno quella delle persone (direi people) — sia nei media sia nell’ICT. Non so bene come fare a mettere qui la presentazione in modo che si capisca: in gran parte sono immagini, o citazioni molto brevi e così via. Incollo qui il video che ho mostrato alla fine. E’ un virale quasi “vecchio” (2008) fatto in un talkshow Fox per il passaggio al digitale negli Stati Uniti — da vedere per i primi 3 minuti e rotti (in totale ne dura circa 5).
Mae Laborde accepts her Hulu Award – Watch more Funny Videos
Life at Google, Tim Bray racconta
Una giornata di sapore un po’ orwelliano (o alla Huxley, ha commentato uno), postata da Tim Bray, uno dei padri di XML, da non molto tempo a Google appunto (update 9-11-2013: l’immagine sotto è ripresa da un post del 2010 di AndroidGuys).
Il nome di Tim Bray mi è rimasto stampato in testa dai tempi in cui ho scoperto che cosa stava succedendo con XML e provai a raccontarlo in giro su Virtual; oh, era fine ’97, mica l’altro ieri. Mi ricordo che andai da Stefania e le dissi credo subito il titolo, “XML, segnatevi questa sigla”; così combinai l’intervista con Tim Bray, via email. Mi ero gasato un sacco per ‘sta faccenda, non so nemmeno perché… Però un po’ ci prendevamo (update 9-11-2013: la brutta foto del numero 48 di Virtual è mia; sorry, fatta al volo sotto la lampada con un iPhone 4…).
via Daring Fireball
RTM mobile survey: 1 iPhone, 2 Android (poi viceversa)
Questa tabella dall’ultimo mobile survey di RTM è piuttosto esplicita… il resto nel post in inglese.
Cerchiare i programmi sull’EPG
My Dad stopped getting his major city daily when they shitcanned the TV guide. He’s 87. I tried to explain the guide on TV. But he can’t circle his programs in red pen on it so it’s useless to him.
Un segno o un prememoria con un pennarello rosso. In un commento visto in giro si racconta di un saggio ottuagenario che ha cancellato l’abbonamento al giornale locale dopo che quest’ultimo ha eliminato la guida TV dalle proprie pagine. Come usava la guida? Cerchiando o segnando immagino le cose di interesse. Difficile fare la stessa cosa con un EPG. Certo, se ne fanno altre. Ma non con la stessa immediatezza e universale facilità d’uso. Tutta la storiella nel post in inglese.
Microsoft Research & interaction design a Milano (via Cambridge UK)
Questo l’ho scritto per Infoservi, dove fa mostra di sé con un titolo appena un poco più giornalistico.
Segrate non è proprio in cima alla lista delle design location milanesi, giusto? Uno pensa al glamour di via Tortona, alle vele della nuova fiera, a certi spazi lussuosi di zona 1. Però a Segrate ci sono un po’ di aziende. Una di queste è Microsoft Italia. Intorno è tutto terziario e industriale; un paesaggio non molto bucolico, specie con la nebbiolina dell’inverno. Dalla strada che porta lì si vedono le forme sempre più grigie del grande palazzo Mondadori, quello di Oscar Niemeyer — uno stacco netto, che piaccia o meno: in mezzo a quei prefabbricati anonimi, sembra l’ultima impronta lasciata da una civiltà superiore.
Microsoft lo scorso novembre ha promosso e ospitato un workshop intitolato “Interaction Design @ Microsoft Research”, per far meglio conoscere la “visione [dell’azienda] sull’evoluzione delle tecnologie di Interaction Design attualmente oggetto di ricerca e sviluppo nei laboratori di Microsoft Research”. Il workshop rientrava nel programma dei Faculty Days, iniziativa più ampia per gli scambi con il mondo accademico. Io ero lì con il doppio cappello di NABA, Scuola di Media Design e Arti Multimediali, dove insegno ormai da qualche anno un corso di metodologia, e con quello di Infoservi, grazie all’invito indirizzato in precedenza ad Alberto (che pure insegna in NABA) e Francesco Monico, direttore della Scuola, da parte di Roberto Cavallini e Mauro Minella di Microsoft,
Nell’auditorium a dire il vero non eravamo in molti, ma quasi tutti hanno seguito i lavori dall’inizio alla fine e le conversazioni durante le pause, almeno per me, sono state fitte ed eccellenti. Buona parte della giornata è stata spesa nella presentazione di alcune tecnologie e strumenti Microsoft nel dominio della creatività e del design: di mio ho trovato interessante soprattutto l’introduzione a SketchFlow di Roberto, ma si è parlato anche parecchio di Blend e soprattutto di Silverlight, dove come sanno anche i sassi da tempo Microsoft sta proponendo un’alternativa al numero uno in questo spazio, Flash di Adobe. Dicevamo però di interaction design e Microsoft Research. Bisogna dare credito qui agli organizzatori per aver aperto una finestra su pratiche, metodi e processi di progetto diventati un riferimento nel contesto internazionale, ma purtroppo molto meno frequentati dalle nostre parti (e sì, è difficile trovarne traccia anche nella Milano “capitale del design”, come disse con grande cortesia Bill Moggridge quando passò in Mediateca per Meet the Media Guru, recensito sempre qui su Infoservi).
In rappresentanza di Microsoft Research ha parlato quindi Richard Banks, di stanza a Cambridge, UK, dove c’è l’unico polo europeo della struttura globale di R&D dell’azienda. Un centinaio di persone sulle duemila totali impiegate nel mondo. Di queste cento, ha spiegato Richard, la maggior parte lavora su problemi di pura (“hard core”) computer science, mentre un buon quarto, al quale appartiene lui stesso, si colloca in un ambito ibrido, una combinazione di ricerca sociale, psicologia e design, dove per design si intende appunto “interaction design”. Penso sia meglio precisare, col rischio di sembrare pedantii: nel mondo accademico e nella pratica professionale non c’è ancora un accordo granitico sulle definizioni e sui confini esatti di questo dominio. Non ci mettiamo a imbastire qui la discussione teorica. Chi volesse una traccia autorevole sul punto potrebbe partire per esempio dalle prime pagine di Theories and Practice in Interaction Design, co-editato da Gilliam Crampton Smith, tra l’altro presente al workshop (oggi è allo IUAV, dopo l’esperienza all’Interaction Design Institute di Ivrea). Durante la pausa ho trovato il modo di chiacchierare un po’ con lei di design, design research e interaction design in Italia.
Dicevamo dell’intervento di Richard Banks. Pur essendosi assegnato il compito di offrire soltanto una cornice e un rimando (“grounding”) al resto delle presentazioni previste nella giornata, molto più orientate ai prodotti, Richard ha aperto un bello squarcio su alcune delle ricerche in corso nel suo gruppo, dando dimostrazione di come si può articolare il nesso tra design e ricerca nello sviluppo delle tecnologie. Dal punto di vista culturale, è il mondo descritto magistralmente da Bill Buxton in Sketching User Experiences, uscito nel 2007 e già diventato un titolo importante nella migliore divulgazione sul tema. Buxton è entrato in Microsoft Research in tempi abbastanza recenti, dopo una lunga carriera di ricercatore sulle interfacce sviluppata tra università di Toronto, Xerox PARC, SGI e Alias Wavefront. I metodi e i casi raccontati nel suo libro, a voler cercare una formula, mostrano che l’essenza esplorativa, visuale e generativa del design tradizionale può evolvere in un insieme di modelli e di tecniche adatti a progettare interazioni, media e “intangibili”, per dirla con John Chris Jones (per inciso, il nume tutelare del mio corso in NABA). Come ovvio qui il discorso va oltre le dimensioni pur gigantesche di Microsoft: uno dei casi di studio più ampiamente illustrati nel libro di Buxton, acclamato in quarta di copertina nientemeno che da Bill Gates, riguarda l’evoluzione della user inteface dell’iPod…
I progetti su cui si è soffermato più a lungo Richard hanno a che fare con la fotografia digitale, la memoria personale e familiare, compresa quella delle persone che sono mancate. Una scelta originale e interesante, credo. Le applicazioni e i servizi digitali straripano di cose utili, divertenti o inutili, ma alle volte sono lontane dagli affetti o dai dolori più forti della vita quotidiana, come quello del lutto. Le persone, ha sottolineato Richard, sono già parte di ecologie complesse e pre-esistenti rispetto alle tecnologie, con le quali entrano poi in relazioni di reciproca influenza (Buxton, aggiungo io, ha scritto che “technologies are adapted, not adopted”). Si tratta di comprendere le persone dal loro punto di vista (Richard: “understanding users in human terms”, e non in “machine terms”), per poi mettere a fuoco idee e opportunità di progetto. Nel caso della fotografia, la domanda di fondo è quindi sul “futuro della memoria” (“the future of looking back”). Pensiamo alla tradizione della fotografie di famiglia, delle immagini fatte per conservare un ricordo. In molte case, spesso in una posizione di rispetto, magari in sala, c’è un classico ritratto di famiglia. Cosa potrebbe diventare il ritratto di famiglia nell’età di Flickr e dei Social Network?
Un prototipo mostrato da Richard, sviluppato attorno alle fotografie del padre, offre un’interfaccia che esplora a più livelli la storia personale, quella familiare e la storia generale degli avvenimenti, pubblici, politici, economici e culturali. Le foto analogiche ereditate dal figlio, una volta digitalizzate, si arricchiscono attraverso le associazioni con altre immagini e storie che ne costituiscono il contesto. In un’altra vista sulla sperimentazione il focus è sulla modalità di interazione. Un’interfaccia multitouch (credo via Surface) permette di manipolare le immagini come se fossero raccolte in una serie di box, per analogia con le scatole delle foto stampate. Un altro prototipo mostra le possibilità di esplorare un ambiente andato distrutto o disperso, come uno studio personale o un garage degli attrezzi, combinando in un oggetto 3D una serie di immagini scattate fintantoché era ancora integro, per esempio nello stato in cui era quando la persona venuta a mancare lo viveva quotidianamente. Nelle parole di Richard, questi artefatti sono “eredità tecnologiche” (“technology heirlooms”), emergenti nell’uso quotidiano ma con ampie possibilità di cambiamento, indagine, invenzione.
Sono soltanto esempi, come si capisce. Come e quando diventeranno prodotti e tecnologie per tutti è un’altra storia. Ma danno un’idea del tipo di ricerca possibile su persone, società e interazione. Due o tre segnalazioni in chiusura per chi volesse approfondire: il newsfeed di Microsoft Research (dove si parla di R&D in generale, non solo interaction design), il sito personale di Bill Buxton (con molti articoli e video) e per la generazione più giovane il nome celebre, ben meritato, di danah boyd, sempre ricercatrice a Microsoft Research, non UK ma New England — btw, a quando Microsoft Research Milano?
Trento, “multinazionale tascabile della ricerca” (Il Sole)
Il fatto è che sul mercato della ricerca, Trento sta diventando un hub internazionale, una multinazionale tascabile, per usare la definizione coniata da Mediobanca per le medie imprese italiane in grado di competere su scala globale. È piccola, ma aperta alle reti lunghe della globalizzazione. Meticcia per posizione e vocazione.
http://www.ilsole24ore.com/dossier/Economia%20e%20Lavoro/2010/start-up-italia/
Rilancio un pezzo del Sole 24 Ore su Trento e la ricerca, con un po’ di evidenza per la bella nota sul carattere “meticcio” del luogo. Potrebbe apparire strano forse, specie se si pensa al profilo severo della città, a quel tanto di rigidità della provincia (detto con la massima comprensione: ci sono nato e cresciuto in provincia). Ora non voglio farla lunga con le associazioni più ovvie, in primo luogo la vicinanza, lo scambio, gli scontri con la cultura e le nazioni di lingua tedesca. Ma non è detto che non ci sia un legame con la capacità attuale di essere più aperti e internazionali di cui parla l’articolo. Di mio l’ho sperimentato in questi mesi grazie ai progetti con gli amici e colleghi di Create-Net (a partire da Vertigo).